La spesa da tagliare? Quella improduttiva

Siamo entrati nel vivo di una campagna elettorale che, mai come stavolta, popola l’orizzonte di nubi cariche di incognite per il futuro del nostro Paese. Per la verità le avvisaglie di un pericoloso rallentamento sulla strada del rigore, energicamente intrapresa nei primi mesi del suo mandato dal governo Monti, si erano già intraviste con l’approvazione del Ddl Stabilità. Un provvedimento «pasticciato e deludente», come avevamo scritto proprio su queste pagine nell’ultimo intervento, che di sicuro non è stato l’epilogo migliore per l’esperienza dell’esecutivo tecnico.
E’ perfettamente chiaro ormai a tutti quanto la coperta dei conti pubblici italiani sia diventata corta. Una situazione di fronte alla quale la politica ha il compito, meglio il dovere, di fare delle scelte, a volte impopolari, che, metaforicamente, si traducono in un dubbio amletico: coprire il viso scoprendo i piedi o viceversa? Decisioni, ovviamente, per nulla facile. Che, tuttavia, non possono in alcun modo essere condizionate dal rischio che, proprio per effetto della campagna elettorale e delle sue logiche, animate dalla comprensibile ricerca del consenso, si finisca per proporre terapie diverse da quelle che realmente servirebbero per curare il paziente Italia.
Ho personalmente elogiato il coraggio dimostrato da Monti nel percorrere l’accidentata strada del risanamento con rigore e determinazione. Mi auguro adesso che, riposto il Loden per vestire la casacca del politico, il professore prosegua sullo stesso percorso senza cambi di rotta e di marcia. Il prossimo passo, d’altra parte, non può che essere uno: dichiarare guerra alla spesa improduttiva, iniziando dal ridimensionamento e dalla riduzione delle migliaia di società partecipate pubbliche (solo quelle comunali erano 4.206 alla data del 31 dicembre 2010), sempre più spesso causa di sprechi che centri di erogazione di servizi efficienti e adeguati alla domanda dei cittadini.
Cesare San Mauro
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